Bella ed interessante l’uscita didattica al monastero di Vaneyi a Sordevolo. La maestosa costruzione domina dall’alto l’intera Valle dell’Elvo è una presenza e una testimonianza di coloro che l’hanno costruita e scelta per dimorarvi.
Con gli allievi della IV Agrario abbiamo ricercato alcune tracce che potessero testimoniare le sue origini, i suoi segreti, i suoi misteri… Iniziando a studiare la tecnica utilizzata dai costruttori dell’edificio che è tipica dell’intera architettura rurale piemontese del 700. I muri cantonali sono realizzati con blocchi rettangolari di natura metamorfica e di provenienza sicura di qualche cava del Mucrone. I restanti muri perimetrali sono realizzati con pietrame eterometrico rinvenuto in loco quasi interamente micacisti distanziate talvolta da alcune quarziti in blocco che spiccano per il loro candido colore bianco. Ma si riscontrano pure vulcaniti scure e addirittura alcune peridotiti di mantello di provenienza dall’ultimo tratto della fascia delle alpi meridionali e portati fin lassù a dorso di umani o di animali da soma.Talvolta sono presenti dei distanziatori in legno duro (rovere castano) per garantire la distribuzione dei gravi ai sottostanti. L’esame più attento evidenzia che la possente struttura grava su un basamento pre-esistente, che dimostra l’esistenza di corpi di fabbrica più antichi probabilmente demoliti per recupero dei materiali.
L’esistenza di strutture antiche é inoltre confermata da tecniche costruttive che si perdono nei secoli addietro, ho infatti evidenziato in un breve tratto l’abbozzo di una disposizione dei litotipi da costruzione a opus spicatum decisamente interessante.
Inoltre l’esistenza di queste abbozzi di antiche costruzioni potrebbe forse essere interpretate come un proto luogo di culto presente nel luogo. I primi monaci costruttori che quassù hanno dimorato sono stati i passionisti e i camaldolesi le tracce delle loro opere emergono dall’esame della struttura del monastero che sembra voler concretizzare la loro Regola. Infatti l’Eremo doveva essere semplice ed austero, privo di un chiostro, dovevano privilegiare quindi la vita eremitica, vivere in solitudine e ridurre al minimo l’esperienze comunitarie.
La Regola imponeva loro il silenzio e la penitenza. Il finanziatore del monastero di Vaneyi fu Gregorio Ambrosetti che negli ultimi decenni del ‘700 presentò alle autorità di allora un progetto per costruire una grande chiesa di cui tutt’ora esiste il progetto e dimensioni presso l’archivio di Stato di Torino.
Il progetto incontrò l’ostilità di tutte le autorità religiose e civili per cui dovette ridurre le sue aspettative ad una semplice cappella tutt’ora esistente. L’arrivo dei frati cistercensi trappisti a Vaneyi è del settembre del 1796 loro giungono quassù perchè hanno acquistato dagli eredi dell’Ambrosetti ( tre fratelli) il monastero e i terreni di corredo. Fa fede il contratto di vendita (istrumento) del 16 agosto 1796 redatto dal notaio Tempia di Biella e conservato e ben legibbile presso l’archivio di Stato di Torino. Dalla lettura dell’atto si possono dedurre delle preziosissime informazioni che chiariscono la vita del tempo:
1) L’atto di compravendita è stato stilato nella sala adibita a refettorio dei Filippini di Biella che agivano in forza di una procura rilasciata dal Superiore Cistercense.
2) L’atto chiarisce che a Sordevolo era presente una mappa catastale (conservata attualmente presso l’archivio di Stato di Torino, nei locali del’ex ospedale San Luigi), la mappa è costituita da un grande unico foglio, le particelle sono numerate e in parte è presente la rappresentazione delle colture esistenti e inoltre calcolata la superficie espressa in tavole piemontesi (una tavola circa 38 Mq).
3) Vengono dettagliatamente elencati nell’atto i confinanti, si evidenziano i nomi di alcune famiglie ancora presenti.
4) La proprietà alienata dai fratelli Ambrosetti ai monaci trappisti risulta di 1500 tavole. L’identificazione catastale riporta le particelle da 2253 a 2271 del foglio di mappa di Sordevolo.
5) il prezzo di vendita pattuito o per lo meno presente in atto è di 30 mila lire del tempo, pagabili in parte subito, il restante in rate. Scadenti ognuna l’11 nobembre di ogni anno a San Martino…
6) Contestualmente alla vendita dell’Immobile (monastero e terreni) gli Ambrosetti fratelli cedono anche il “boscame” e le lose già preparate in precedenza per la ricostruzione di parte del tetto ormai crollato tant’è che i monaci trappisti appena vi giunsero definirono il monastero “fabbrica fatiscente”.
I trappisti cistercensi avevano una regola diversa dai monaci passionisti e camaldolesi per cui immediatamente provvedono a risistemare tutti i locali adattandoli al dettato della loro Regola: modificarono la parte superiore dei muri perimetrali, la ingentilirono ricavando nell’ultimo piano finestre a profilo rotondo che dovevano permettere alla luce di entrare in un chiostro situato nell’ultimo piano dell’edificio, inoltre intonacarono i soffitti delle varie camere e aggiunsero qualche affresco della Madonna perchè tutti i loro monasteri erano dedicati a Maria. Nelle costonature delle volte inserirono delle frasi prese dall’Antico e dal Nuovo Testamento, dai padri cistercensi o dalla imitazione di Cristo di Sant’Agostino. Ma il destino avverso aspettava i poveri trappisti. Tutti vi erano nemici, le autorità religiose e civili del luogo per cui non riuscirono a saldare le rate del debito contratto nel 1796 con i fratelli Ambrosetti, i creditori citarono in giudizio i monaci che persero la causa in virtù dell’ipoteca che gravava sul debito e si videro costretti a cedere agli Ambrosetti tutti i terreni intorno al monastero.Il passo sucecssivo, nel 1802, è stato quello di ricercare una nuova sistemazione che pensavano di trovarla addirittura a Masserano in quanto il comune aveva a disposizione una grande superficie terrena incolta, paludosa e malsana situata in località San Giacomo di Masserano. Inizia una trattativa molto equivoca e sleale in quanto ognuno pensava di trarre dall’accordo il massimo del guadagno che si concretizzava nel cedere 40 mila tavole di terra ai trappisti che dovevano bonificarla e in parte restituirla pronta per la coltivazione dopo 30 anni. A risolvere il problema che peraltro non ha avuto nessun sviluppo intervienne la grande storia nella persona di Napoleone Buonaparte che occupato il Piemonte vi estese l’editto di confisca di tutti i beni dei monasteri e lo scioglimento degli ordini monastici. I poveri monaci furono costretti a lasciare Vaneyi e ad accettare un vitalizio che nella sua “magnanimità” Napoleone offrì per ricompensare i monaci di aver dovuto cedere l’abito. Qualcuno accettò, altri preferirono trasferirsi negli unici monasteri autorizzati situati in luoghi impervi del Piemonte (per esempio Gran San Bernardo). Laproprietàdel monastero passò al demanio che l’anno successivo lo mise in vendita all’asta, parteciparono diversi offerenti, ma l’asta la vinse la famiglia Ambrosetti che riscattò la parte restante della propietà in quando i terreni erano già stati riottenuti in seguito al mancato pagamento delle rate da parte deimonaci. La storia degli ultimi 150 anni è uniforme in quanto il monastero è stato affittato dagli Ambrosetti ai contadini di Sordevolo per l’attività di pastorizia.
La fase successivadi studio con gli allievi ha riguardato l’aspetto agronomico, socio-botanico e si è svolta all’esterno del monastero, abbiamo impostato un lavoro di fitosociologia pastorale che ha permesso di verificare l’andamento delle varie zone di fertilità del suolo. Siamo stati attirati dalla presenza di frassini allevati con il sistema di potatura a capitozza per ottenere fronde tenere da somministrare agli animali come foraggio, ma solo dalla luna calante di agosto. Interessante pure la presenza di ippocastani peraltro comuni di fronte a tutte le baite dei margari, i frutti di questa essenza erano impiegati per sfruttare le loro attività acetilcolinergiche di stimolo della innervazione del rumine per favorirne la ripresa della attività ruminale. Concludiamo la giornata all’interno della foresteria della Trappa, osserviamo gli intonaci che ora interpretiamo nella loro intima origine. Prima di uscire sono attratto da una scritta sopra lo stipite di una porta: “Sufficit diei malitia sua” e ridiscendiamo a Biella.
Un docente chehapartecipato alla visita